Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXII – 07 giugno 2025.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Disturbi psichiatrici diversi condividono alterazioni al livello esonico. Da molto tempo si indaga la possibilità che i disturbi psichiatrici maggiori, paradigmaticamente distinti e separati nella diagnostica clinica, come depressione e schizofrenia, possono avere una base genetica comune. I risultati sono contraddittori e molti ricercatori propendono per una prudente sospensione delle conclusioni.

Ricercatori del Max Planck Institute of Psychiatry, dell’Helmholtz Munich e della Sidney University hanno indagato campioni post-mortem della corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC) di affetti da disturbi psichiatrici e di sani fungenti da controllo. L’indagine genetica ha integrato dati diversi, quali i polimorfismi a singolo nucleotide (SNP), varianti genetiche rare e punteggi di rischio poligenico.

I risultati hanno mostrato, in estrema sintesi: 1) rilevanza del livello degli esoni: i pazienti differivano dai controlli sani solo al livello esonico e non dell’intero gene; 2) trovate vie alterate in comune tra schizofrenia e disturbi minori: perturbazioni dei ritmi circadiani, della regolazione del cortisolo (sistemi dello stress) e del sistema di segnalazione della dopamina; 3) i risultati supportano l’importanza di introdurre un criterio biologico per diagnosticare e orientare la terapia dei disturbi psichiatrici. [Worf K. et al., Translational Psychiatry – AOP doi: 10.1098/rsbl.2025.0010, 2025].

 

Aumenta la dimensione delle sinapsi delle cellule di luogo dell’ippocampo rispetto ai neuroni silenti. La plasticità sinaptica eccitatoria sembra essere il meccanismo principale mediante cui si affermano le differenti attività svolte dalle cellule piramidali dell’ippocampo. Judit Heredi e colleghi coordinati da Zoltan Nusser hanno dimostrato che le cellule piramidali dell’ippocampo con differenti ruoli in vivo hanno simili attività elettriche e densità di sinapsi eccitatorie e inibitorie, ma le spine dei dendriti delle cellule riceventi le sinapsi asso-spinose delle cellule di luogo (place cells) ippocampali, che formano la mappa allocentrica dell’ambiente circostante, sono aumentate di dimensione per effetto dell’attività; cosa che non si verifica per le spine costituenti le sinapsi delle cellule piramidali silenti. [Cfr. PNAS USA 122 (20): e2505322122, 2025].

 

Il metabolita analgesico del paracetamolo AM404 agisce inibendo direttamente canali Na+. Yossef Maatuf e colleghi hanno identificato un probabile meccanismo analgesico dell’anti-infiammatorio paracetamolo, riconoscendo nell’azione dell’AM404, metabolita che può essere generato dai neuroni sensoriali periferici oltre che nel sistema nervoso centrale, l’inibizione diretta di canali del sodio (canali Na+) specifici del dolore nei neuroni nocicettivi, riducendo la sofferenza sia di origine infiammatoria sia di altra origine. [Cfr. PNAS USA 122 (20): e2413811122, 2025].

 

Le crisi epilettiche possono precedere e annunciare la Demenza Fronto-Temporale (FTD). La revisione di 12.000 cartelle cliniche ha consentito di accertare su un grande campione che le crisi epilettiche sono più frequenti nei pazienti affetti da degenerazione lobare fronto-temporale o demenza fronto temporale (FTD), che nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer e nei controlli sani. Le crisi possono presentarsi fino a 10 anni prima delle altre manifestazioni cliniche, che suggeriscono l’iter diagnostico che può portare ad accertare una FTD. I ricercatori della University of Estearn Finland dimostrano che la stretta associazione facilita una diagnosi più precoce e consente di migliorare la qualità della vita dei pazienti, trattando le crisi e monitorando gli sviluppi. [JAMA Neurology – AOP doi: 10.1001/jamaneurol.2025.1358, June 2, 2025].

 

Come il cacatua dal ciuffo giallo ha stupito i cittadini di Sidney. Fra le specie di cacatua, quel particolare tipo di grande pappagallo bianco australiano che alza le piume del capo a formare come un’alta cresta, il Cacatua galerita o “ciuffo giallo” è venuto agli onori delle cronache per un’abilità sviluppata nei parchi e nelle aree verdi della città di Sidney. Barbara Klump e colleghi, che studiano dal 2018 le interazioni di questi uccelli con la realtà urbana, hanno documentato una tecnica sviluppata per dissetarsi: aiutandosi con becco e zampe, riescono ad aprire i rubinetti delle fontane pubbliche. In particolare, i candidi psittacidi dalla cresta gialla usano una zampa per la presa stabile e le dita dell’altra per aprire il rubinetto. [Cfr. Proceedings Biological Sciences – Biology Letters – AOP doi: 10.1098/rsbl.2025.0010, June 4, 2025].

 

Un comportamento dei babbuini dovuto ad amicizia e non a necessità come si credeva. Sul camminare in fila dei babbuini si sono esercitati in molti, nel tentativo di spiegare in chiave evoluzionistica questo comportamento organizzato, riportandolo a necessità connesse con la sopravvivenza. Alcuni avevano addirittura definito il valore delle posizioni di testa, di mezzo e di coda nella fila. Uno studio della Swansea University ha rigorosamente dimostrato che le formazioni di babbuini associati in marcia, che gli etologi chiamano progressions, non sono originate da strategie particolari, né dal bisogno di sicurezza, ma sono conseguenza epifenomenica del desiderio e del piacere di stare vicini fra amici. Da oggi, l’aggregazione in file per andare in giro a passeggiare o a esplorare, sarà considerata una semplice conseguenza del voler stare insieme: una social spandrel e non un pattern di comportamento specifico. [Cfr. Behavioral Ecology – AOP doi: 10.1093/beheco/araf022, 2025].

 

Le conoscenze sulle basi della coscienza umana dovrebbero indurre a riconoscere valore alla volontà. Gerald Maurice Edelman ripeteva: “Consciousness is effective!”, e non voleva sentir parlare del livello funzionale del cervello corrispondente a ciò che comunemente chiamiamo coscienza in termini di epifenomeno. I suoi studi, più di quelli di Francis Crick e Christof Koch, hanno reso evidente il potere di ciò che elabora la mente cosciente sul comportamento umano, rimarcando la differenza con la coscienza animale, corrispondente secondo Edelman alla coscienza primaria umana e distinta dalla coscienza di ordine superiore che ha contribuito in modo decisivo all’affermazione della nostra specie sul pianeta. La coscienza animale, come titola un saggio del Premio Nobel per la scoperta della struttura molecolare degli anticorpi, non è altro che “presente ricordato”. Si capisce come questo livello funzionale del cervello animale possa essere influenzato dall’elaborazione generale dell’esperienza mediante automatismi sotto l’egida delle spinte biologiche più radicali, espresse da bisogni primari e secondari, per la gioia dei deterministi assoluti.

L’hard determinism ha perso credito da decenni presso la comunità neuroscientifica: applicare all’uomo criteri che sembrano adatti a spiegare il comportamento dagli insetti ai mammiferi, richiede che si neghino almeno due gigantesche evidenze, ossia la creatività esercitata sulla base di astrazioni lontane dalle necessità biologiche e l’oblatività derivante dall’adesione a concezioni e convinzioni culturali. E poi, riconosciute le qualità uniche di questo livello funzionale, è necessario riconoscere il grado di libertà insito nella possibilità di impiegare processi razionali meta-analizzabili dal soggetto stesso, in base ai principi della logica e alle preferenze radicate nella propria cultura o maturate come nuove convinzioni personali. Se l’espressione libero arbitrio può dare fastidio ad agnostici e atei, perché appartenente alla tradizione della cultura cristiana, si potrà provvedere a identificare una locuzione universalmente gradita per denominare una proprietà del nostro cervello, che solo il connubio tra profonda ignoranza e ottuso rifiuto ideologico della realtà può consentire di negare. Se perfino la mente di persone plagiate fin da piccole da un indottrinamento finalizzato a farne “martiri di Allah” può giungere a scegliere portando, come è avvenuto in casi documentati, a un rifiuto della logica aberrante islamista con cambiamento di confessione, di religione, di filosofia e di visione del mondo e della vita, quanto sia grande il potenziale di libertà dell’uso intenzionale dell’ideazione cosciente è facile immaginare.

Altra cosa è che, nel mondo attuale, l’abitudine all’adesione alle mode e alle forme comportamentali indicate dalla propaganda volta a orientare il consenso politico e il successo economico dei grandi potentati, ha indotto la maggioranza delle persone a rinunciare all’uso dell’analisi per la comprensione e alla valutazione in base ai propri principi per la scelta, limitandosi a informarsi su “cosa bisogna fare”. Queste correnti di adesione spesso acritica e passiva sono una realtà, ma il fatto che determinino i comportamenti della maggioranza assoluta dei popoli più tendenti all’omologazione, non giustifica che le si tratti come se fossero il prodotto di spinte biologiche o leggi di natura ineluttabili, da sommare ai fattori che determinano gli automatismi neurobiologici di base.

In passato noi siamo intervenuti su questo problema. Ad esempio, nel 2018 abbiamo rilevato l’errore di considerare dei comportamenti umani ideologicamente orientati come fossero tendenze biologiche legate alla sopravvivenza, in uno scritto di Michael Shermer, editorialista della rivista Skeptic e Presidential Fellow della Chapman University, il quale, seguendo il criterio epidemiologico di alcuni studi che presentavano dati di fatto percentuali su comportamenti umani, traeva conclusioni rinunciando a qualsiasi genere di analisi sulle cause. Ora, come allora, non entriamo nel merito dell’argomento, che potrebbe indurre posizioni preconcette, perché non è il merito che ci interessa. La questione è che quegli studi misurano ciò che accade: sono una fotografia di ciò che si è verificato, ma, se si vuole comprendere il perché ciò sia avvenuto, si dovrebbe procedere almeno con gli strumenti dell’analisi sociologica e psicologica.

Per chiarire questo aspetto un professore di scienze della comunicazione era solito fare questo esempio: un nuovo programma televisivo fece registrare un livello di ascolti straordinario, con uno share riservato solo alle trasmissioni di maggior successo. Fu allora intervistato un amplissimo campione di telespettatori che aveva visto il programma, e risultò che meno del 10% lo aveva gradito e più del 90% lo trovava criticabile o pessimo. Il motivo dell’alta percentuale di ascolti? Andava in onda quando la maggioranza delle persone, finita la giornata di lavoro, torna a casa e accende l’apparecchio televisivo per abitudine: dedurre dagli ascolti il “gradimento” sarebbe stato un grave errore; a quell’ora la gente guarda la televisione per cambiare il quadro mentale delle routine di lavoro e studio, o – come si è soliti dire – per distrarsi o informarsi su ciò che accade nel mondo. Dunque, la ragione degli ascolti era nella fascia oraria e non nel successo di quella particolare trasmissione.

Molte considerazioni sul comportamento umano adottate a sostegno di idee deterministiche, che negano il potere dell’ideazione cosciente nel governo del soggetto, negando l’esistenza di una libertà di scelta semplicemente perché molti rinunziano al suo uso per pigrizia mentale, finiscono per commettere errori come quello di attribuire valore al programma, mentre gli ascolti sono dovuti alla fascia oraria. In un’indagine sociologica condotta negli USA si chiedeva a persone per strada perché fossero così conformiste, spiegando che l’apparente anticonformismo nel vestirsi, tatuarsi, mettere piercing e via di seguito, è ugualmente un tipo di conformismo che investe la maggioranza dei giovani e il 40-60% della popolazione generale: molti rispondevano che “a fare di testa propria” si commettono sempre errori, che si pagano in tempo e/o denaro.

 È evidente che queste persone tendono a considerare le mode alla stessa stregua delle leggi dello stato e, in ogni caso, si riferivano a condotte nei comportamenti di base del vivere civile.

La questione che poniamo noi, invece, non riguarda la forma del comportamento e la sua classificazione sociologica (conformista/non conformista) ma la sostanza dell’uso delle proprie risorse mentali coscienti; in altri termini, non cosa fai ma perché lo fai. Noi auspichiamo il ritorno al piacere della formazione interiore, al gusto della conoscenza, alla capacità di strutturarsi dentro e formarsi un’idea dell’uomo, del mondo e della realtà, e poi agire di conseguenza: fare le cose perché si è deciso di agire in coerenza con i propri principi e scopi, all’interno di una dimensione vissuta e coltivata alla luce della coscienza, che conferisce senso a tutto l’agire. [BM&L-Italia, giugno 2025].

 

Notule

BM&L-07 giugno 2025

www.brainmindlife.org

 

 

 

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